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IL GRANDE ILLUSIONISTA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 febbraio 1984
 
di Jerko Tognola, con D. Conti, A. Koch, Milva (Svizzera, 1983)
Cinema dell'illusione, appunto. A Johnny scompare la moglie, che lui trafigge nel cassone con le spade, ogni sera, durante lo spettacolo al teatrino. Una scomparsa, una volta tanto, non solo per il pubblico. Con anche una goccia di sangue, che Johnny raccoglie sul batuffolo di ovatta. Ma il dubbio rimane: è veramente scomparsa Ramona, o tutto si svolge nel sogno dell'illusionista? Com'era da prevedere, non lo sapremo con sicurezza nemmeno alla fine del film. Perché le immagini della memoria (o della realtà?) continueranno a sovrapporre il viso della scomparsa a quello della nuova compagna del protagonista.

Ma più dell'illusionista stesso, il personaggio rivelatore del primo lungometraggio di Jerko Tognola è quello di Franz Kula, il travestito che dirige il teatrino. Nel suo numero quotidiano egli assume parvenze femminili, diverse, da una specie di Carmen Miranda con le banane al collo ad una tirolese dallo jodel facile. Ma la sua preoccupazione ogni sera, rimane la stessa: come può identificarmi il pubblico ogni sera? Come può capire che sotto il buffone si nasconde un uomo, addirittura il padrone del teatro? L'esigenza di riscattare la propria identità, di esistere come individuo, lo conduce alla scena - chiave del film. Durante lo spettacolo egli si spoglia, rivelando la sua vera natura. E il pubblico, ovviamente non accetta il grassone in mutande: fischiandolo e beffeggiandolo decreta la fine dell'illusione e il probabile fallimento del teatrino.

IL GRANDE ILLUSIONISTA e tutto giocato su questa rimessa in questione dell'illusione, sul limite sottile che separa la realtà dal sogno, quel limite sottile che il linguaggio cinematografico, proprio per la materia sulla quale si basa (la luce, l'impressione fotografica, la scelta di un'inquadratura, ricordate Blow up di Antonioni?) sa esplorare con affascinante ambiguità. Affascinante e difficile: perché l'illusione filmata, ancor maggiormente della realtà, esige una perfezione assoluta di linguaggio. Esattamente come per la rivelazione del travestito l'arcano va svelato al momento giusto. "Lo devono capire da soli", dice il grassone, alludendo al rapporto fra gli spettatori e la propria identità. Non sempre, ne Il grande illusionista, la conoscenza dei significati è lasciata all'intuito dello spettatore. Molte cose (e molte di quelle che andrebbero lasciate alla fantasia) sono spiegate o, peggio, dettate. Che l'erba punga sotto i piedi scalzi dei ragazzini nel prato lo dice l'immagine (per di più amplificata dall'uso della steadycam): perché ripeterlo nel commento?

Un po' come se l'autore si fosse innanzitutto preoccupato di filmare i significati, la dimensione seconda. Prima ancora del reale, dell'aneddoto, dei personaggi, della sceneggiatura, che avrebbe potuto sorreggere con maggior vigore l'illustrazione disinvoltamente adeguata di Tognola. Situazione paradossale, questa, per un cineasta abituato (con una professionalità evidente e probabilmente unica nelIa Svizzera italiana) a filmare l'oggetto nella precisione essenziale del cinema pubblicitario. Cineasta dell'oggetto Tognola lo è comunque a fior di pelle, e torto avrebbe a voler sfuggire a questa sua vocazione. Così, del Grande illusionista, rimangono nella memoria le sequenze nelle quali non solo un oggetto, ma un paesaggio o addirittura un volto umano sono esaminati con quella precisione significativa di quella scuola di cinema.

Saranno allora delle spade che si stagliano sullo sfondo con una sensibilità quasi materica, del suono cupo con il quale vengono conficcate in uno zoccolo di legno. O il profilo enigmatico della protagonista, spogliata sapientemente dalle sfumature idealizzanti con le quali David Hamilton l'aveva resa celebre. Ma riproposta, in uno dei momenti più ispirati del film, come in un provino cinematografico. Rigirata e rimirata da tutti gli angoli come un prisma che lo sguardo del cineasta tenta disperatamente di afferrare. Cinema ambizioso e probabilmente perfettibile quello di questo esperto esordiente che viaggia verso i cinquanta. E cinema coraggioso, di quella volontà di battere nuove strade che così clamorosamente sembra mancare a tanto cosiddetto cinema giovane.

Cinema che sa cogliere, di una realtà come la nostra, di un paesaggio così circoscritto com'è quello ticinese, il suggerimento, l'intuizione per sfumarlo nei contorni poetici dell'illusione.


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